venerdì 3 marzo 2017

Voce sono. Per una consapevolezza vocale_9

Esperienza sul campo_due: La liberazione della voce

I gruppi curano i gruppi.
Vincenzo Bellia, Dove danzano gli sciamani

La mia seconda Esperienza sul campo è stata rivolta a cinque ospiti della Cooperativa Sociale Penna Nera di Mariano Comense. Gli incontri sono stati sempre di gruppo, della durata di un'ora, con cadenza settimanale. Abbiamo iniziato a febbraio '16 e concluso a ottobre '16. La partecipazione è sempre stata numerosa, le poche assenze sono state motivate con impegni personali al di fuori della vita della cooperativa o qualche lieve malattia. Gli obiettivi sono stati rivolti al gruppo e, in diversa misura, ai singoli. Alcune competenze che si è inteso promuovere nell'individuo afferivano alla dimensione relazionale, alla maturazione delle capacità di stare in gruppo. Il motore della terapia è stata la relazione, da cui parallelamente si è raggiunto il singolo. Si è creato un gioco di risonanze e rispecchiamenti complesso, su ciascun membro sono confluite attribuzioni simboliche e personali che poi il gruppo ha riassorbito. Si è creato un campo tranferale sempre in movimento e trasformazione. Ogni azione del singolo è ricaduta nel gruppo, ogni suono, ogni movimento è stato percepito, integrato e sincronizzato.Il setting e lo strumentarioGli incontri avvenivano nella piccola palestra, con ai lati cyclette e attrezzi ginnici che non hanno mai suscitato l'interesse dei presenti, forse anche perché li usavano già in altri momenti della settimana. Allestivo il setting sostanzialmente allo stesso modo, apportando qualche modifica via via per arrivare a una disposizione funzionale: sedie a cerchio, un tavolo con tovaglia facente parte del cerchio, un tavolino con PC e casse a mia disposizione. Lo strumentario veniva posizionato sul tavolo verso la metà dell'incontro, al momento dell'improvvisazione. Abbiamo suonato shakers, tamburi, piatti, woodblock, maracas, triangoli, jambee, flauti dolci, tamburelli, triangoli, chitarra, metallofono, oceandrum, ukulele, kazoo, flauti a coulisse.Dopo aver osservato la presenza sonora dei partecipanti, le loro strategie messe in campo in termini di adattamento spaziale, temporale e relazionale, i limiti e le capacità espressi e latenti, ho dato agli incontri una struttura semplice e ripetitiva: un momento introduttivo di ascolto di brani proposti dai partecipanti o da me, un'improvvisazione di gruppo della durata di circa 25 minuti, una condivisione verbale e un saluto finale con l'ascolto di un altro brano o con una breve improvvisazione con strumenti a percussione e la voce.Il canto stereotipato e la prestazioneHo sempre proposto ascolti di musiche lontane dal quotidiano dei partecipanti (jazz, classica, lirica, elettro-pop, rock, etc.) che hanno suscitato reazioni diverse. Chiedevo ai partecipanti di proporre degli ascolti per stimolare la loro sensibilità e la saggiare la colonna sonora della loro vita. Spesso le loro proposte raccoglievano dal mondo della musica leggera italiana, dalla stereotipia della radio degli anni '70-'90: Gianni Morandi, I ricchi e poveri, Battisti, Marcella Bella, I Pooh, Celentano, Battisti, Laura Pausini. Nel tempo abbiamo codificato un modo di ascoltare questo genere di brani che potrei definire ascolto partecipato: ascolto e canto. Mettevo a disposizione alcuni oggetti che, per la loro forma, assomigliano a dei microfoni. Ciascuno sceglieva il proprio e lo usava nel canto in modo molto personale. Qualcuno lo impugnava proprio come si vede fare dai cantanti professionisti, altri lo tenevano in mano appoggiato sulle gambe, altri lo dondolavano avanti e indietro per aiutarsi dei movimenti. Se inizialmente poteva esserci timidezza nei partecipanti, l'assenza di giudizio e di confronto reciproco ha progressivamente sciolto i timori. Questo momento è diventato occasione per una gioiosa espressione nel canto, per contattare se stessi, la propria voce e per stare con gli altri in un modo non consueto. Alcuni partecipanti, in momenti di particolare trasporto emotivo, si alzavano e davano fisicità al canto, in piedi davanti alle casse, come se fossero assettati di vibrazioni. Una persona ha espresso a gran forza la propria presenza portando una voce forte, presente, vibrante, come se lì ci fosse un dono nascosto e non espresso in altre occasioni. Permettere che queste manifestazioni trovassero la via ha dato a questa pratica grande rilevanza. Sono stati coltivati l'ascolto autentico, l'assenza di giudizio, la non competizione, il divertimento e la leggerezza. Se da una parte i partecipanti potevano cadere nella trappola dell'ansia di prestazione cercando di cantare bene, chiedendomi se fossero stati bravi e atteggiandosi come i cantanti della TV, dall'altra si dimenticavano queste strutture, lasciavano cadere i condizionamenti semplicemente vocalizzando. I miei interventi avevano l'intenzione di portare il gruppo in questa direzione, in modo morbido e mai forzato. Ho progressivamente tolto importanza all'oggetto-microfono trasformando il mio progressivamente in una sorta di amuleto, appoggiato di fianco a me. Se nei primi incontri la mia voce emergeva nella sonorità di gruppo con l'intenzione di mostrare nuove possibilità, poi ho lasciato spazio alle voci degli altri cercando per me la via della trasparenza. Mi rendo conto che sono stati passaggi importanti, che sono avvenuti gradualmente, in modo da lasciare ai partecipanti la conquista di ruoli nuovi e la conferma delle proprie rivelazioni.La voce liberaNei nostri incontri è stato dato molto spazio all'improvvisazione. Venivano messi a disposizione diversi strumenti musicali, per lo più a percussione: shakers, tamburi, piatti, woodblock, maracas, triangoli, jambee, tamburelli, triangoli, metallofono, oceandrum, due flauti dolci, flauti a coulisse, una chitarra, due kazoo e due ukulele. Il gruppo ha sperimentato vari modi di suonare. All'inizio c'era la curiosità di conoscere gli strumenti, di sperimentarne le qualità sonore, poi abbiamo conquistato il piacere del suonare insieme. E' comparsa la voce, dei semplici vocalizzi ripetuti diverse volte, note armonizzate sulla struttura prima-terza-prima, a ritmo con il suono presente in quel momento, ad un'altezza comoda per tutti. Lo spaesamento iniziale dei volti poteva essere un freno, chi rideva, chi guardava fisso, chi continuava a suonare senza mostrare particolare interesse. Ho proposto più volte vocalizzi simili tra loro e così, nel tempo, la voce non è stata più una novità. E' diventata una possibilità per creare dialoghi sonori, a due o più voci, brevi botta e risposta, piccole melodie inventate o riprese da canzoni conosciute, giochi fatti con i nomi dei partecipanti. Il desiderio comune di cantare ha generato un circolo virtuoso di azioni importanti per i singoli, per il gruppo e per me come conduttrice. Abbiamo conquistato un territorio prezioso, di tutti. Nella fase finale del progetto il canto aveva consolidato un ruolo condiviso da tutti, a sé stante rispetto a quello degli strumenti. Cantare una canzone famosa non era molto diverso da vocalizzare dei pattern sonoro-musicali ripetuti, chiamare per nome i presenti a ritmo di percussione, o intonare una melodia improvvisata. Questa esperienza mostra una possibilità per strutturare un percorso vocale e strumentale che può prendere varie direzioni, può rallentare o accelerare volta dopo volta, e può essere occasione di grande ricerca da parte del conduttore

Nessun commento:

Posta un commento